PIETRO VIERCHOWOD - tessera N°218

Pietro Vierchowod, lo “Zar”, è stato uno stopper tenace e grintoso che aveva nella velocità la propria caratteristica distintiva. Specialista della marcatura a uomo, ma in grado di adeguarsi anche alla difesa a zona, alle doti innate di personalità e prestanza fisica abbinò progressivi miglioramenti sul piano tecnico e tattico e in virtù di una notevole elevazione era un abile colpitore di testa, qualità che gli consentì di realizzare numerose reti: con 38 gol in Serie A, è nel novero dei difensori italiani più prolifici di sempre.

Vierchowod si trova cucito addosso il soprannome “Zar” per via delle sue origini: il padre, soldato dell’esercito sovietico, è prigioniero in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale e alla fine si stabilisce nel bergamasco, dove suo figlio Pietro, un bambino di ferro, impara un mestiere come aiutante idraulico. Ma è anche calciatore nel tempo libero, tanto che a 16 anni esordisce in serie D con la Romanese…lo nota il Milan che lo chiama per un provino col Milan, ma il tecnico Zagatti impedisce la nascita di una futura, mostruosa coppia Baresi-Vierchowod: “Nel tuo ruolo siamo coperti, grazie”.

Pietro esplode ugualmente a Como a soli 20 anni, dove è protagonista delle promozioni dalla C alla B fino alla Serie A. Viene acquistato dalla Sampdoria di Paolo Mantovani che però è in serie B e il russo tra i cadetti non ne vuol sapere di tornare. Mantovani lo manda a prima a Firenze e poi a Roma, dove vince lo scudetto: Pietro non è una promessa, ma un campione del mondo che ha avuto la sfortuna di saltare la finale del Bernabeu per una maledetta caviglia dolorante.

Era stata la prima beffa della sua carriera: al suo posto a marcare Rummenigge e ad entrare nel mito, c’era andato Bergomi. Con la Samp finalmente in A, Mantovani decide che è ora di portarlo alla casa madre. Da qui in poi seguiranno 12 anni di amore incondizionato, 12 anni in cui lo “Zar” e la casacca 5 blucerchiata saranno una cosa sola. Saranno, guarda caso, anche gli anni migliori per la Sampdoria. 12 anni stupendi, un gruppo inimitabile di giovani campioni che fecero grande un piccolo club e stavolta e’ lui a dire ‘NO’ a Mantovani ogni volta che il presidente ha la tentazione di venderlo. Fu più volte sul punto di cederlo, sommerso dalle richieste per il difensore, ma lo Zar non si muoveva, in virtù di un “patto di sangue” siglato con i compagni ed amici Vialli, Mancini e tutti gli altri: Fin quando non vinciamo il tricolore da qui nessuno si muove”. E questo succede nel 1991. Poi, con Paolo Mantovani muore una certa Samp, il “patto di sangue” è estinto, è ora di andare alla Juve per guarire una ferita: vincere quella Coppa dei Campioni sfuggita a Wembley e lo Zar la vince a 37 anni. Capito di essere di troppo, toglie il disturbo e va a Perugia, dove litiga con Galeone e pianta tutti dopo un mese. Pare finita, data l’età, invece lo chiama addirittura il Milan, dopo che per anni Berlusconi si era sentito dir di no dal Vierchowod doriano. Annata balorda, alla fine deve trovarsi un’altra squadra o smettere. Trova il Piacenza e con la sua esperienza contribuisce a due salvezze finchè, a 41 anni, appende le scarpette al chiodo.

 

Con la Nazionale il rapporto è difficile, non è il cocco di nessun CT: non partecipa ai mondiali dell’82 perché infortunato, gioca con Bearzot i Mondiali dell’86, quelli sbagliati. C’è ma non gioca nel ’90. Rifiuta di esserci nel ’94, dicendo no a Sacchi perché’ non vuole fare panchina, senza sapere che il destino era pronto a risarcirlo per la beffa dell’82: si infortuna Baresi, lui non c’è e si morde le dita. Alla fine. In Nazionale racimola ‘solo’ 45 presenze in 12 anni!

 

Dotato di un gran fisico, non ha mai patito infortuni seri, solo 3 pneumotorace!

Racconta il primo: “A Torino nel 1991, Juve-Samp: nell’intervallo dico a Boskov e al medico: “Mi fa male al petto e non riesco a respirare”. Boskov alza le spalle: “Non è niente, passa subito”. Torno in campo e dopo dieci minuti faccio segno alla panchina: “Non ce la faccio, non respiro”. Vujadin mostra l’orologio: “Dai, gioca, mancano ancora cinque minuti”. Sono rimasto un’altra mezz’ora in campo, sino alla fine. Mi hanno visitato in diversi e liquidato con un sorriso: “Un po’ d’aria nello stomaco, la butti fuori e sei a posto”. Qualche tempo dopo un pneumologo ha scoperto il buco nel polmone. Anche la seconda volta successe una cosa simile, dicevano di non preoccuparmi, che non era niente. La diagnosi me la sono fatta da solo, ormai ero pratico. Il terzo buco al polmone a 37 anni, giocavo nella Juve. Robetta, sono tornato in campo quindici giorni dopo”.

 

Su Diego Maradona: “Che numeri. Una volta gli ero addosso, incollato. L’avevo, come si dice adesso, ingabbiato. Lui si è girato con una piroetta, un tunnel ed è volato via. Io allora sono scattato e l’ho raggiunto e chiuso in angolo e lui si è messo ridere: “Hanno ragione a dire che sei Hulk: ti manca solo il colore verde”.

 

Su Marco Van Basten: “Anni fa l’ho visto a Montecarlo, era in piscina con la bambina e tristemente mi ha chiesto: “Ma tu giochi ancora?” E’ stato imbarazzante, perché lui si era ritirato a 29 anni, io ne avevo 40 ed ero ancora in pista. E’ stata una perdita immensa per noi del calcio, tutti, non sappiamo cosa abbiamo perso con l’addio di Marco. Giocatore unico, come i nostri duelli, duri e spigolosi, ma leali. Ci siamo battuti e picchiati, non si è mai tirato indietro.”

 

La Sampdoria, la squadra della sua vita…”Mia, di Vialli, Mancini, Cerezo. Di tutti. Era la squadra degli amici e siamo stati un meraviglioso, irripetibile gruppo. Lì ho vinto, è stato fantastico. Ma è stato bello con tutte, perché tutte mi appartengono. Prima il Como, la prima famiglia. Poi la Fiorentina, la scoperta del grande calcio. Con la Roma, il primo scudetto. Con la Juve, la Coppa dei Campioni. Il Milan, nel momento sbagliato. E infineil Piacenza, la rinascita, in campo a quarant’anni. Ma ormai sono solo ricordi”.

 

 Fonti : www.sportventi.com/Pietro Vierchowod  

 Fonte : http://www.delinquentidelpallone.it/pietro-vierchowod-lo-zar

Fonte: https://storiedicalcio.altervista.org/blog